Il taglio del bosco, o degli alberi, volto alla sua coltivazione e conservazione attraverso i criteri tecnici della selvicoltura, finalizzato alla salvaguardia della vegetazione, all’estrazione del legname, ed alla messa in sicurezza di edifici, vie di comunicazione o altre infrastrutture, garantendo sempre la perpetuazione dell’ecosistema forestale, non deve essere confuso con il termine disboscamento o deforestazione.
La deforestazione assume infatti una connotazione negativa a tutti gli effetti, spesso illegale e incontrollata. Lo sfruttamento di queste foreste si persegue secondo il metodo taglia e brucia: prima si tagliano gli alberi e poi si da fuoco per eliminare il sottobosco rimanente.
Questi interventi devastanti vengono eseguiti per i più svariati motivi, che possono essere riassunti in quattro categorie principali: raccolta del legname a scopo industriale e/o energetico (1), per ottenere nuovi terreni da destinare all’agricoltura e/o al pascolo (2), per espandere la zona urbana (3) oppure ancora perché in queste aree vi si trovano dei ricchi giacimenti di altre materie prime (4).
Questo modo di procedere “just in time” ha degli effetti positivi di breve durata e un’infinità di effetti collaterali dannosi per l’equilibrio dell’ecosistema ed in ultima analisi per la nostra stessa esistenza.
Infatti, ad un effetto fertilizzante generato dalla cenere che rimane sul terreno, favorevole soprattutto per l’insediamento di attività agricole, ne segue immediatamente un secondo che è quello dell’accelerazione degli effetti erosivi del terreno. Di conseguenza, dopo pochi anni, questi terreni devono essere abbandonati, a discapito di nuove aree che subiranno a loro volta lo stesso destino.
Non dimentichiamo che questi incendi sfuggono spesso al controllo di chi li appicca, causando danni ancor più gravi sulla fauna che vive in questi ecosistemi.
Da un punto di vista numerica nel solo decennio 2000-2010 è scomparsa più del 10% (5.2 milioni di ettari all’anno – più di tutta la Svizzera!) della superficie della foresta tropicale (pluviale), per un affare che si aggira attorno ai 150 miliardi di dollari annui, un quarto circa del PIL di tutta la ricca Svizzera, maggiore di tanti altri stati del mondo!
Il fenomeno della deforestazione è ancora in crescita in molte aree del pianeta. I paesi maggiormente interessati sono Cina, Colombia, Brasile, India, Indonesia, Myanmar, Malaysia, Messico, Nigeria e Thailandia che insieme compiono più del 70% (altre fonti parlano addirittura di più dell’80%) del disboscamento mondiale. Paesi in cui la legislazione forestale non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella Svizzera o dei paesi europei in generale, dove essa non permette di tagliare un quantitativo annuo di legname maggiore di quello che le foreste stesse sono in grado di produrre con la loro crescita.
Non possiamo non menzionare un altro grave problema cui la deforestazione è strettamente connessa: il riscaldamento climatico. Una foresta tropicale integra potrebbe assorbire enormi quantitativi di anidride carbonica e mantenere il suo contenuto nell’aria a livelli accettabili. Bruciandola si ottiene esattamente l’effetto contrario.
Dalle nostre parti, coccolati dal nostro benessere e tenendo fede al detto “occhio non vede cuore non duole”, facciamo finta di non sapere o di non vedere quello che succede ai polmoni del nostro pianeta. Lasciamo che qualche esperto ci ripeta il suo mantra per cui a un PIL che non cresce corrisponde un futuro a tinte catastrofiche e ci arrabbiamo e arrabattiamo per delle inezie assolutamente trascurabili.
In questo senso possiamo interpretare certi malumori quando un albero secolare che con calma e lentezza è cresciuto, un albero che abbiamo “sempre visto lì”, in poche ore scompare, abbattuto al suono sgradevole di qualche motosega.
Questo aspetto, pur contrastato dall’orgoglio di essere riusciti ad effettuare un intervento a volte tecnicamente difficile e pericoloso, coinvolge anche i nostri sentimenti.
D’altro canto, siamo consci che questi interventi devono spesso essere fatti per una questione di sicurezza, delle persone e delle cose. In fondo un albero può anche essere sostituito da un altro, magari ancor più idoneo (“in stazione”) a crescere in quel contesto.
Siamo altresì consapevoli e convinti che un tessuto verde urbano, come è già stato scientificamente provato, comporta un beneficio mentale e spirituale non indifferente alle persone. Questo tessuto deve essere perciò mantenuto, curato e se possibile aumentato.
Per concludere, impariamo anche a relativizzare. Incanaliamo le nostre energie ed i nostri sforzi non per salvare un albero, pur imponente e meritevole di rispetto che sia, tra le nostre case, ma per proteggere quei milioni di alberi e di ettari di foreste che, anche se non li vediamo e viviamo quotidianamente, quelli sì sono una componente essenziale dell’equilibrio della terra e quindi della nostra vita. Anche se questo implica fermarsi un attimo, confrontarsi con noi stessi e capire quello che è davvero essenziale e cosa invece potrebbe essere superfluo nel nostro modello di vita.